Diagnosticare l’ADHD

La diagnosi di ADHD avviene solitamente in età scolare, quando si manifestano i primi sintomi, ma in alcuni casi non arriva fino all’età adulta

seduta di psicoterapia

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    I bambini sono per loro natura molto vivaci, ma in alcuni casi un’eccessiva iperattività, insieme a scarsa capacità di mantenere l’attenzione e a comportamenti impulsivi e talvolta aggressivi sono segni di un disturbo specifico, detto ADHD. Per diagnosticarlo è necessario che si presentino un certo numero di sintomi per un determinato arco di tempo, e l’osservazione del bambino si accompagna a questionari ai genitori e agli insegnanti. Infatti è spesso proprio con l’inizio della scuola che i sintomi diventano più evidenti. Se la diagnosi avviene in età infantile, nella maggior parte dei casi i segni di questo disturbo tendono a migliorare con il tempo, ma non sempre è così: chi viene diagnosticato solo da adulto spesso ha un passato di frustrazione, che si può tradurre in disturbi d’ansia e dipendenze.

    Cos’è l’ADHD

    La prima descrizione di questo disturbo pediatrico risale al 1845, quando il medico Heinrich Hoffmann descrisse in “The Story of Fidgety Philipp” quei segni di inattenzione e iperattività che verranno riconosciuti come un disturbo vero e proprio solo all’inizio del secolo successivo, grazie alle conferenze di Sir George R. Still al Royal College of Physicians.

    Ad oggi, gli studi maggiori sull’ADHD sono condotti negli Stati Uniti da pediatri e psichiatri, che hanno ormai individuato le varie forme che può assumere questo disturbo e delle strategie per gestirlo, ma non sono ancora arrivati a determinarne la causa.

    È stato però dimostrato che c’è una componente ereditaria e genetica e che sussistono fattori di rischio, come:

    • basso peso alla nascita
    • lesioni craniche
    • infezioni
    • carenza di ferro
    • esposizione a sostanze tossiche, come il piombo ma anche alcool, tabacco e sostanze stupefacenti prima della nascita
    • incuria e violenze durante l’infanzia

    Ancor più controverso è il ruolo che potrebbe avere una sovraesposizione alla televisione sui bambini al di sotto dei sei anni: non tanto i contenuti, ma la velocità e l’irrealtà delle immagini avrebbero un impatto sullo sviluppo neurologico.

    I bambini – e gli adulti – con ADHD vedono la loro capacità di autoregolarsi pesantemente compromessa, con conseguenze nella vita quotidiana, nelle relazioni e nelle aspettative per il futuro. Ma come viene fatta la diagnosi di ADHD nei bambini e negli adulti che non sono stati precedentemente diagnosticati?

    La diagnosi di ADHD nei bambini

    L’ADHD, che sta per Attention Deficit/Hyperactivity Disorder (in italiano Disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività), come abbiamo accennato è un disturbo del neurosviluppo con esordio in età pediatrica, di solito prima dei 4 anni ed entro i 12 anni. Spesso è proprio l’ingresso a scuola che porta a rendersi conto che non si tratta di semplice vivacità, ma, come vedremo, in alcuni casi è possibile che non venga riconosciuto fino all’età adulta.

    La diagnosi viene fatta unendo all’osservazione del bambino questionari ai genitori e agli insegnanti. Fra i sintomi da tenere in considerazione troviamo:

    • difficoltà di concentrazione
    • difficoltà a portare a termine i compiti
    • difficoltà a mantenere l’attenzione anche per periodi brevi
    • agitazione e irrequietezza (ad esempio a scuola non riescono a stare seduti a lungo al banco)
    • impazienza
    • litigiosità
    • interruzioni frequenti nei giochi

    I segni di ADHD devono poi manifestarsi per un periodo di almeno sei mesi e in almeno due ambienti diversi, per escludere che la problematica sia correlata a un contesto specifico.

    Insieme all’osservazione e ai questionari somministrati a genitori e insegnanti, vengono condotti test anche sui disturbi dell’apprendimento: sia per escludere che dislessia, disgrafia o discalculia siano la causa della mancanza di attenzione e delle difficoltà scolastiche, sia perché non è raro che siano condizioni compresenti, così come ansia, tic nervosi e disturbi comportamentali (come quello oppositivo-provocatorio).

    Se si notano i sintomi dell’ADHD il primo passo è rivolgersi al pediatra, che saprà indirizzare verso uno specialista in neuropsichiatria dell’età evolutiva. Il trattamento per gestire l’ADHD sarà estremamente personalizzato e combina:

    • specifiche tecniche genitoriali (parent training)
    • un piano scolastico personalizzato
    • farmaci psicostimolanti, ansiolitici o antidepressivi

    Dovranno essere gestiti quindi non solo gli aspetti funzionali che l’ADHD può compromettere, ma anche quelli emotivi, per questo anche nei bambini è spesso utile accompagnare il trattamento con un percorso di psicoterapia. L’ADHD non è una condizione da cui si guarisce, e ha delle componenti biologiche nel suo sviluppo, ma l’ambiente è fondamentale per poterci convivere al meglio.

    La diagnosi di ADHD negli adulti

    Se la diagnosi di ADHD riguarda una percentuale che va dal 5 al 15% dei bambini, con una maggioranza di bambini maschi (circa tre/quattro bambini diagnosticati ogni bambina), si calcola che negli adulti questa percentuale sia del 2,5%, ma in questo caso i dati sono meno attendibili perché non considerano le mancate diagnosi.

    Nonostante l’ADHD sia infatti un disturbo che esordisce durante l’infanzia, in alcuni casi i sintomi possono non essere riconosciuti fino all’età adulta. Fra i motivi che possono portare a una mancata diagnosi troviamo:

    • manifestazione specifica del disturbo (ad esempio con disattenzione prevalente)
    • presenza di altri disturbi dell’umore, del comportamento o dell’apprendimento
    • elevate risorse cognitive a bilanciare l’ADHD
    • elevate risorse familiari a compensare
    • pregiudizi e sottovalutazione dei sintomi

    L’ADHD negli adulti si manifesta in minor misura con iperattività e maggiormente con sintomi come:

    • distraibilità
    • difficoltà a portare a termine i compiti
    • dimenticanze
    • mancanza di concentrazione
    • impulsività verbale e comportamentale
    • disorganizzazione
    • logorrea

    Non è raro che gli adulti che non hanno ricevuto una diagnosi da bambini presentino anche disturbi d’ansia e dell’umore, come la depressione. Inoltre, i sintomi dell’ADHD possono compromettere la vita lavorativa e le relazioni interpersonali, determinando un vissuto di scarsa autostima e frustrazione. Anche per il mancato riconoscimento di questo disturbo sono soggetti a sviluppare dipendenze da alcol, tabacco e sostanze stupefacenti e si riscontra un alto tasso di tendenza al suicidio.

    La diagnosi è però in questo caso complicata dalla distanza temporale dal momento d’esordio e viene fatta attraverso interviste diagnostiche strutturate al soggetto stesso, a un familiare che risponderà per il passato e a una persona vicina che possa confermare i sintomi nel presente. Laddove possibile, vengono consultati i registri scolastici alla ricerca di problemi di comportamento e di rendimento compatibili con l’ADHD.

    Vengono eseguiti anche esami che possano escludere altre condizioni alle quali possono essere ricondotti i sintomi e che individuino un’eventuale compresenza di altri disturbi psichiatrici (come depressione o disturbo bipolare).

    Negli adulti con ADHD l’utilizzo di farmaci migliora i sintomi in una percentuale variabile, che va dal 25 al 50% dei soggetti, ma per recuperare quei comportamenti mai appresi a causa di questo disturbo, si rivela di primaria importanza la psicoterapia, in particolar modo quella a indirizzo cognitivo comportamentale (che cioè crea connessioni fra pensieri, comportamenti ed emozioni).

    Una diagnosi di ADHD in età adulta, come accade per molti disturbi dell’apprendimento o del neurosviluppo, fornisce al soggetto una nuova chiave di lettura attraverso la quale riconsiderare le difficoltà incontrate lungo il proprio percorso e dalla quale ripartire con nuovi strumenti e consapevolezze.

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