Come praticare l’educazione ad alto contatto

Le mamme che praticano questa metodologia dichiarano di avere figli autonomi, indipendenti e con i quali si crea un profondo legame di fiducia

educazione ad alto contatto

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    L’educazione ad alto contatto si instaura tramite uno stile genitoriale che mette al primo posto il bambino ed i suoi bisogni. Base fondamentale per costruire una personalità sicura e indipendente secondo alcuni, forte rischio che diventi un “vizio” secondo altri. Abbiamo provato ad approfondire con un’esperta, Romina Cardia, blogger e autrice del libro “Ascoltami”, per meglio comprendere questo stile di genitorialità.

    La teoria dell’attaccamento: origini e storia

    La teoria dell’attaccamento, introdotta da John Bowlby nel 1969, spiega quale sia il sistema neurale e comportamentale alla base del legame madre-figlio che si crea dopo la nascita. In realtà, studi effettuati a partire dagli anni 2000, hanno dimostrato come questo legame si crei già durante la gravidanza, concetto al quale Rubin arrivò molti anni prima (1975), identificando l’attaccamento madre-figlio dal terzo trimestre come we-ness, cioè “l’essere noi”. Ma non solo, poiché questo attaccamento definito in seguito prenatale, sembra anche essere positivamente associato alla qualità del legame che i due svilupperanno dopo la nascita.

    Cambiamenti ormonali: il ruolo fondamentale dell’ossitocina

    Durante la fine della gravidanza avvengono importanti cambiamenti ormonali nel corpo della donna: declino del progesterone e incremento di estrogeni, prolattina e ossitocina, tutte sostanze che favoriscono il cosiddetto social bonding con il nascituro. L’ossitocina in particolare, ha un ruolo fondamentale in questo processo; grazie alla stimolazione che il neonato effettua con la suzione del capezzolo, questa viene liberata a livello della neuroipofisi, raggiunge la ghiandola mammaria passando dal sangue, qui provoca la contrazione delle cellule e quindi la produzione di latte. Ma non solo! Negli umani l’ossitocina sembra essere correlata al livello di accuratezza nel riconoscere le emozioni quali ad esempio fiducia, generosità e cooperazione. Questo neurormone sembra infatti favorire le interazioni sociali e le variazioni genetiche del recettore ad esso correlato sembrano influire sul livello di empatia, reattività allo stress e risorse fisiologiche interne, quali ottimismo e stima di sé, utili a predire la salute fisica e psicologica dell’individuo.

    Le origini dell’educazione ad alto contatto

    “Mettilo giù, che poi prende il vizio!”; “Fallo dormire nella sua culla!”: quante volte ad una neomamma vengono pronunciate queste frasi? Più o meno tutti i giorni, facendola sentire continuamente inadeguata nel dover scegliere tra il proprio istinto di tenere il bambino con sé o dare retta a quello che amici e parenti più o meno esperti vanno consigliando. L’educazione ad alto contatto è basata proprio sulla volontà di cancellare questo tipo di pregiudizio, difatti il principio è che la vicinanza alla madre sia un bisogno fisiologico della prole e non un vizio. Anzi, le mamme che praticano questa metodologia dichiarano di avere figli autonomi, indipendenti e con i quali si crea un profondo legame di fiducia.

    L’attachment parenting secondo W. Sears

    Strettamente correlata alla teoria dell’attaccamento di Bowlby, troviamo quella dell’attachment parenting (AP) del pediatra William Sears, il quale aggiunge a quanto sopra la necessità di mantenere uno stretto e continuo contatto fisico con il bambino, che nella vita di tutti i giorni può essere facilmente praticato grazie al cosiddetto baby wearing, cioè l’utilizzo di fasce elastiche e marsupi per trasportare il neonato, al posto di ovetto e passeggino. A questo tipo di abitudini, le madri che praticano l’educazione ad alto contatto affiancano l’allattamento, solitamente protratto ben oltre la fase di svezzamento. Sears, in particolare, sviluppa il concetto di quello che lui chiama baby reading, cioè la capacità della madre di riconoscere i segnali del suo piccolo, grazie alla propria sensibilità innata di genitrice, senza lasciarsi condizionare da orari, tabelle di marcia e altre imposizioni tipiche della nostra società.

    “Amore di mamma, tesoro di donna”, il blog di Romina Cardia

    Romina Cardia, scrittrice, blogger e content creator, è curatrice di un blog che tratta l’educazione ad alto contatto, sulla quale ha scritto anche un libro (Ascoltami, Il Leone Verde Edizioni). Quando le ho chiesto come sia arrivata a conoscere questo metodo educativo, che per certi aspetti può essere considerato un vero e proprio stile genitoriale, la sua risposta non mi ha stupita affatto. “Nel 2012 sono diventata madre”, ci racconta, “e un po’ stravolta – come tutte le neo mamme – mi ritrovo a dover gestire i suoi numerosi risvegli e il suo forte bisogno di contatto.” La differenza, però, la fanno le scelte di Romina, che sceglie di allattare al seno suo figlio, scoprendo che si tratta di un bambino ad altissimo contatto grazie ad una mamma alla pari, la quale le indica anche le modalità con cui assecondare questo bisogno.

    Educazione ad alto contatto: le critiche

    Quando mio figlio compie 6 mesi, decido di non smettere di allattarlo”, prosegue Romina, “e la cosa si protrae finché non compie 3 anni. Ho subito numerose critiche per questa scelta e anche quando ho fortemente sostenuto la disciplina dolce (chiamata anche positiva) per educare mio figlio,  sono stata tacciata di essere troppo permissiva ed accondiscendente. In quel momento mi sono accorta dei pregiudizi delle persone, della mancanza di conoscenza che le spinge a porre queste accuse, pertanto ho deciso che avrei iniziato a parlarne pubblicamente, per aiutare i genitori come me a seguire serenamente il loro istinto e consentire ai neonati di ottenere risposte efficaci alle loro richieste. “Queste teorie sono ampiamente sostenute dal mondo scientifico”, sostiene Cardia, “Bowlby, dopo anni trascorsi ad osservare i mammiferi, rifiutò il modello di Freud secondo il quale il legame madre-bambino si fonda solo sulla necessità di nutrimento del piccolo e nient’altro, arrivando a comprendere il fondamentale ruolo del riconoscimento delle emozioni.”

    Educazione ad alto contatto: gli obiettivi

    Per Bowlby, l’attaccamento ha un ruolo centrale nella vita dell’essere umano”, ne è convinta Romina Cardia, “perché lo sviluppo di una personalità armoniosa dipende soprattutto da un adeguato legame con la figura materna o chiunque si prenda cura del bambino. L’obiettivo è quello di rispondere prontamente al suo bisogno fisiologico, infatti un neonato che trova delle risposte alle sue richieste avrà meno motivi per piangere, si sentirà più sicuro e avrà a sua volta maggiore fiducia verso il prossimo.”

    Educazione ad alto contatto: consigli pratici

    Per concludere questa piacevole chiacchierata con Romina Cardia, le chiedo qualche suggerimento da poter mettere in atto per iniziare a praticare l’educazione ad alto contatto. “Se il bambino piange quando lo mettete in culla, sta manifestando un disagio, non ignoratelo. Molto probabilmente ha bisogno del contatto e del calore del corpo dei suoi genitori, provate perciò ad assecondarlo. Stessa cosa se questo avviene con l’utilizzo del passeggino! Un discorso a parte lo merita invece l’allattamento a richiesta: se il neonato piange e arriva stremato alla successiva poppata dopo le canoniche tre ore da manuale, forse ha bisogno di sentirsi più spesso rassicurato dal calore del corpo della madre e dal suo odore. Molti pensano che l’alto contatto sia difficile da mettere in pratica, perché lo sentono quasi come ‘soffocante’, ma non lo è affatto, anche perché esistono degli strumenti che ci permettono di farlo mentre continuiamo a svolgere tutte le nostre faccende quotidiane. Tra questi ci sono i marsupi e le fasce porta bebè, di cui parlo ampiamente anche nel mio libro.”

    Fonti

    Ferrari et al., 2016; Sadeghi & Mazaheri, 2007; Salehi & Kohan, 2017; Sedgmen,  McMahon, Cairns, Benzie & Woodfield, 2006.

    Brandon et al., 2009; Rossen et al., 2017.

    Tichelman et al., 2019.

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